Dolore e piacere: la legge naturale che regola l’uomo

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mano che mostra uno smile con sfondo tramonto

Sai che la vita degli animali è regolata dalla legge binaria del dolore e del piacere e che l’uomo, in quanto animale, dovrebbe rispondere alla stessa legge?

L’organismo è dotato di un sistema di campanelli d’allarme funzionale a guidarci nelle scelte da fare per mantenerci in salute. Da qui deriva la nostra sopravvivenza. Tutto ciò che da piacere ed è pro sopravvivenza viene ricercato, tutto quanto è dolore e contro sopravvivenza viene evitato.

Il biologo interno, avvisa in tempo reale se qualcosa ci “fa bene” o ci “fa male”, innescando una serie di reazioni per rafforzare la spinta verso la vita: la tosse, gli starnuti, il vomito, reazioni allergiche, emozioni di ogni genere e altro ancora che possa essere adeguatamente interpretato come non utile alla salute.

La forza che spinge al cambiamento

In PNL (programmazione neuro-linguistica) si usa la leva del dolore e del piacere per motivare le persone a perseguire i propri sogni. A volte avere un obiettivo preciso non è sufficiente per trovare le giuste motivazioni per dedicarci con continuità al raggiungimento delle nostre mete.

Il cambiamento avviene quando l’idea di continuare a vivere in una certa condizione provoca un disagio tale che non si può fare a meno di cambiare. In alternativa può avvenire quando il piacere che attribuiamo al raggiungimento di una nuova condizione è talmente allettante da spingerci all’azione. Meglio ancora quando le due forze agiscono contemporaneamente, in tal caso non ci sono ostacoli che tengano e il cambiamento avviene in pochi istanti.

Lo sdoppiamento della legge del dolore/piacere per l’uomo

Di fatto per l’essere umano, una volta sviluppata la parte razionale, questa legge si sdoppia e diventa quaternaria: esiste infatti un piacere che “fa bene” e uno che “fa male”, così come c’è un dolore che “fa male” e uno che “fa bene”. Non conoscere bene la distinzione di queste quattro voci può generare confusione su come realmente si deve agire per tornare a stare veramente bene. Analizziamo nel dettaglio questa differenziazione, partendo dai due concetti più semplici.

Il piacere che “fa bene”

Si può asserire che tutto ciò che sia funzionale alla salute dell’organismo rientri nella voce del piacere che “fa bene”; per esempio, in natura quando un animale deve idratarsi ricerca una fonte d’acqua e così anche per l’uomo. Poiché siamo costituiti da oltre il 60% d’acqua e che tutto funziona grazie all’acqua, berla dovrebbe essere la cosa più naturale.

Di fatto esistono persone che faticano a bere o perché non hanno sete o, addirittura, perché non riescono a digerirla. Sotto questa voce è logico far rientrare la soddisfazione di tutti i bisogni primari: respirare, bere, mangiare sano, riposare, muoversi, eliminare scorie, l’affetto (per l’uomo che è un animale sociale)

Il dolore che “fa male”

Si può far rientrare sotto questa categoria tutto ciò che non è dichiaratamente funzionale alla sopravvivenza; per esempio un trauma fisico subito, mettere le dita dentro la presa della corrente, una scottatura con il fuoco, un veleno immediatamente mortale ingerito, e altro ancora.

Istintivamente ogni animale, e così la maggior parte degli esseri umani, evitano di “finire nei pasticci” per non sperimentare la sensazione di dolore che ne può derivare.

Vedremo più avanti che nel corso degli anni qualcuno ha perso l’istinto a riconoscere le fonti potenzialmente offensive, soprattutto se i relativi effetti non sono letali o fortemente invalidanti e quando la mente razionale ha progettato di perseguire una data abitudine, quand’anche possa esporre a pericoli di salute.

Ora rimenare da analizzare i due concetti più complessi.

Il piacere che “fa male”

L’essere umano è l’unico tra gli animali che ricerca dei falsi piaceri, ovvero dei dolori “travestisti” da piacere che danno l’illusione di sentirsi bene, come ad esempio il fumo di sigaretta o il consumo di alcol, di droghe, alimenti non propriamente salutari, il gioco d’azzardo e altro ancora che ha la precisa caratteristica di creare dipendenza.

Il dolore che “fa bene”

Sotto questa voce rientrano tutte quelle pratiche necessarie per rimediare all’abuso di falsi piaceri, prendendo ad esempio il fumo di sigaretta, il dolore che fa bene è la crisi di astinenza che deve vivere chi decide di smettere di fumare. Nel mentre la persona vive una sofferenza più o meno profonda, ma è certo che passato il momento critico poi sperimenterà uno stato di salute migliore.

Ci sono persone che, una volta smesso di fumare, confondono la tosse che hanno (necessaria per espellere l’accumulo di catarro) come un segnale negativo tanto da esclamare “vedi, quando fumavo non avevo la tosse, stavo meglio prima!”; di fatto questo è il dolore che “fa bene”.

La febbre stessa fa parte di questa voce, infatti, la temperatura corporea è funzionale a debellare i microbi patogeni.

Qual è il processo che porta l’essere umano a confondere un dolore con un piacere?

L’uomo è un sistema tripartito costituito dalla parte fisica, quella razionale e quella della coscienza (o anima). Ognuna di queste parti ha dei bisogni da soddisfare.

Il corpo (la parte fisica) deve necessariamente vedere soddisfatti i bisogni primari precedentemente elencati: respirare, bere, mangiare, riposare, muoversi, eliminare scorie ed evitare il dolore o la sofferenza, pertanto esso invia dei segnali per indurci a soddisfare tali bisogni in modo adeguato. Per contro la mente razionale poggia su dei bisogni di altra natura: abitudini, gratificazioni, comparazioni e competizioni, che non sempre sono in linea con quelli del corpo.

La coscienza, invece, si nutre di azioni etiche, non a caso è quella parte che prova rimorsi quando si fanno cose che ci fanno stare male o quando non si fanno altre cose che sappiamo possano farci stare bene.

Qualcuno racconta che “la coscienza è l’unica cosa al mondo che si sporca non usandola”. Se non si è sviluppato un buon allineamento tra le tre parti è facile che la mente possa indurre a perseguire delle abitudini non funzionali alla salute (come il fumare o la sedentarietà) facendo cadere nella trappola dell’illusione che fumare od oziare siano un piacere.

Una volta sabotati i campanelli di allarme che suonano (tosse, capogiri, disgusto, nausea) grazie alla ferrea volontà di emulare qualcuno che ci induce a fumare, fare un tiro di sigaretta può diventare un piacere.

Il corpo in qualche modo deve difendersi dal dolore che sta provando e, quando ha trovato il modo, i campanelli d’allarme smettono di suonare a favore del desiderio di riuscire a fumare come il mito a cui vogliamo assomigliare; quante vittime ha generato inconsapevolmente ed in buona fede Huphrey Bogart.

Così come il fumo di sigaretta, esistono tanti altri falsi piaceri.

Se i campanelli d’allarme sono stati sabotati in tenera età, da adulti è difficile riuscire a risalirci. Un esempio di quanto può accadere in momenti della nostra vita dove non abbiamo ancora capacità di ascolto e discernimento è quello relativo al latte vaccino e i suoi derivati.

Studi autorevoli affermano che l’intestino e non solo, nel medio e lungo periodo, possano sviluppare delle disfunzioni dovute all’alto contenuto di caseine (le proteine contenute nel latte di vacca) che l’apparato digerente non è in grado di digerire completamente.

Dato che l’essere umano è un mammifero e che come tutti i mammiferi dopo lo svezzamento dovrebbe passare ad altre forme di nutrimento, esiste una seria possibilità che questi studi abbiano un fondamento di verità.

Sfortunatamente per l’uomo, il nostro organismo ha grandi capacità di adattamento, anche al peggio (fumo, droghe, monossido di carbonio e tanto altro), per cui è oggettivamente difficile capire cosa effettivamente sia funzionale o meno al nostro benessere, ma non impossibile.

La conoscenza ci può rendere liberi

“Non c’è vera libertà se non c’è libertà di scelta, non c’è vera libertà di scelta senza conoscenza”

Una volta instaurata un’abitudine, oltre a essere difficile da smantellare, questa ci rende limitati nelle scelte che possiamo operare, poiché la mente è refrattaria al cambiamento. Per fortuna possiamo fare affidamento sulla parte di coscienza capace di guidarci a recuperare l’istinto.

Per raggiungere questo traguardo è necessario prevedere periodi di astensione da fonti che riteniamo offensive per la salute, o applicarsi in pratiche che riteniamo possano essere fortificanti per il nostro benessere, per un periodo minimo di tre settimane.

Ventun giorni è infatti il periodo stimato per poter debellare vecchie abitudini o instaurarne di nuove. Durante questo periodo, se stiamo prendendo le distanze qualcosa che sospettiamo possa nuocere, i campanelli d’allarme si riattiveranno; diversamente, se stiamo mettendo in pratica azioni utili alla salute, l’organismo non tarderà a dare segnali di un diverso stato di benessere.

Al termine del “periodo di prova” ci si troverà di fronte a un bivio che indurrà a decidere se riprendere le vecchie abitudini o proseguire sulla nuova strada.

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