Genitori: come entrare in rapport, ricalco e guida

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mamma che gioca con il figlio

Vi siete mai chiesti perché spesso dovete ripetere le cose ai vostri figli centinaia di volte e, comunque, non vi ascoltano? Cosa vi manca a livello comunicativo per essere veramente capiti dai vostri bambini? A volte sentite come se parlaste una lingua straniera?

Niente paura la soluzione esiste ed è alla portata di tutti. Bastano tre semplici passaggi:

  1. ricalco
  2. rapport
  3. guida.

Se non ne hai mai sentito parlare non preoccuparti. Sono concetti molto semplici. In poco tempo riuscirai a metterli in pratica. Devi solo essere disposto ad allenarti e a cambiare un po’ il sistema comunicativo con tuo figlio.

Alcuni genitori quando parlano con i bambini sono molto direttivi dicendo “si fa così e basta”, altri, al contrario, invece di dirigere si fanno guidare dal bambino perdendo a volte il controllo della situazione. Inutile dire che in entrambi i casi, che rappresentano i due estremi, non otterranno risultati duraturi. Nel primo caso corriamo il rischio che il bambino non si senta né ascoltato né capito portandolo ad avere una bassa stima di sé e delle proprie capacità. Nell’altro caso può generare figli con difficoltà nel condividere e nel saper avere dei limiti, non essendo abituati ad averne.

Riprogrammiamo il nostro tipo di comunicazione, attraverso i tre step del ricalco, rapport e guida.

Primo step: un salto nella loro realtà

Avete mai sentito parlare di ricalco? In PNL (Programmazione neuro-linguistica) si usa questo termine quando si parla di comunicazione efficace. In parole povere si intende la capacità di entrare nel modo di fare dell’altra persona, rispecchiando fedelmente ciò che lei ritiene vero.

La tecnica riprende l’atteggiamento che aveva il famoso psichiatra e ipnologo Milton Erikson (1901-1980), e la sua capacità di entrare in connessione profonda con i suoi pazienti. Quanto più l’individuo sente affinità con l’altro, tanto riuscirà a aprirsi e ad ascoltare. L’approccio al paziente usato da Erikson fu oggetto di studio per Bandler e Grinder, negli anni ’70, che ne estrapolarono addirittura un metodo adattabile alla comunicazione di ogni individuo. Il ricalco, in particolare, ci permette di abbattere la diffidenza iniziale e permette l’instaurarsi di un sistema empatico.

La stessa cosa vale per i bambini. Molto spesso noi genitori diamo indicazioni e direttive ai nostri figli saltando questo gradino e quello successivo. Poi ci rendiamo conto che lui non ci capisce, o comunque dopo un momento in cui ci sentiamo compresi tendenzialmente tutto ritorna come prima, nel senso che nostro figlio ci ha ascoltato lì per lì, ma poi nel lungo periodo la comunicazione non è stata efficace.

Ricalcare significa entrare nel suo schema, usare le sue modalità, rispecchiare il suo stato d’animo, senza sminuirlo, ma rispettandolo e facendogli capire che lo stiamo comprendendo.

Come si fa?

Come dice il termine stesso ricalcando i suoi modi, ad esempio se piange sarà importante che l’adulto si immedesimi nel dolore che egli sta provando. È molto difficile, infatti, creare rapport ed empatia con qualcuno che ha un atteggiamento completamente diverso dal nostro. Le persone tendono a fidarsi, ad affidarsi e ad ascoltare chi sentono come loro.

Attenzione però perché i bambini sono super sensibili ai nostri atteggiamenti e potrebbe succedere che si accorgano del cambiamento. Cerchiamo, quindi, di ricalcare in maniera delicata, senza enfatizzare troppo modalità e emozioni.

Cosa possiamo ricalcare?

Iniziamo con la postura. Significa abbassarsi se il bambino è piccolo, oppure se è più grande significa allinearsi al suo modo di porsi. In questo modo avviene il rispecchiamento, chiamato così perché è come se voi foste lo specchio di nostro figlio, ed è un’arma importante da usare a nostro favore. Anche il respiro può essere ricalcato, osserviamo attentamente la velocità e la profondità della respirazione ed entriamo nel suo ritmo. Lo stesso si può fare con il tono e la velocità nel parlare, oppure con le emozioni, se ad esempio il bambino sembra disperato, evitiamo giudizi o di tagliare corto dicendo “dai non è niente”, se lui in quel momento si sente disperato cerchiamo di entrare nel suo stato d’animo, diciamogli che comprendiamo bene quello che prova, che se vuole può parlarne con noi, che siamo lì apposta per ascoltarlo, e che tante volte ci siamo sentiti come lui. Questo ci permetterà di creare quella fiducia di cui ha bisogno, per calmarsi, per abbassare un po’ le difese.

Quando questo avviene stiamo passando allo step successivo, cioè stiamo entrando in rapport con lui, in uno stato cioè di empatia e comprensione profonda.

Secondo step: siamo in empatia

L’empatia è quello stato che ci permette di entrare in connessione profonda con la persona che abbiamo di fronte. In questo caso il bambino.

Per entrare in connessione con le sue emozioni però è fondamentale archiviare per un attimo tutte le nostre convinzioni, abbassare il giudizio ci permetterà di sperimentare realmente quello che nostro figlio sta vivendo e non di recitare un ruolo.

Entrare in empatia con lui vuol dire mettere da parte il nostro io adulto e riconnetterci con il bambino che è in noi, far riemergere sensazioni, pensieri, paure, speranze e riconoscere quanto c’è di simile con i nostri figli. Ricercare nella memoria la parte bambina di noi è un mezzo pressoché infallibile per entrare in rapport.

Quando l’individuo entra in rapport con noi gli equilibri relazionali cambiano, se fino ad ora siamo stati noi a tentare di entrare nel suo sistema, ora che la porta è finalmente aperta possiamo arricchire la situazione con il nostro punto di vista, ed eccoci passo successivo, la guida.

Terzo step: siamo in guida

Essere in guida significa che abbiamo la fiducia dell’altro, gli mostriamo il nostro punto di vista, la nostra opinione, o richiesta, se i passaggi fatti precedentemente sono andati a buon fine, allora il bambino ci seguirà, si fiderà e asseconderà più facilmente le nostre richieste, evitando capricci e lotte di potere, semplicemente perché si sentirà compreso. Non vivrà le nostre parole e richieste come imposizioni cadute dall’alto.

Quando si è creato lo stato di fiducia possiamo guidare la comunicazione. È come quando camminiamo a fianco di qualcuno e teniamo lo stesso passo, se noi cambiamo il ritmo, l’altro ci seguirà senza la necessità di doverlo convincere.

L’errore che, purtroppo, noi genitori facciamo con i nostri figli è di voler comunicare entrando subito nella modalità guida. Diamo delle imposizioni che vengono mal tollerate dal bambino. Non per la richiesta in sé, ma perché manca la parte in cui egli si sente ascoltato e compreso lasciandosi, di conseguenza, condurre. Spesso entriamo nella modalità braccio di ferro. Ci troviamo a fare a gara tra chi è il più forte e questo ci fa perdere la posizione di privilegio di cui naturalmente godiamo.

Con i passaggi elencati fino ad ora ci rendiamo conto che entrare nel mondo del bambino è possibile a patto che l’adulto abbia l’accortezza e la capacità di procedere per gradi, senza saltare passaggi, avendo sempre chiaro l’obiettivo: entrare in connessione profonda con lui.

Allo stesso tempo voglio rincuorarvi del fatto che mettere in atto i tre steps, a volte, può risultare difficoltoso. Richiede molto allenamento. Non demordete se vi sembra che i risultati tardino ad arrivare, arriveranno con l’esercizio e con la fiducia, il metodo funziona solo se ci crediamo e se lo riteniamo efficace noi per primi.

Siete scettici?

Ecco un consiglio da mettere in atto: in questo momento della nostra vita accontentatelo, ma sviluppiamo una sensibilità verso noi stessi e verso i nostri bambini. Impariamo a guardarli e a chiederci se stiamo effettivamente vivendo tutte le potenzialità che loro ci offrono.

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